A NEPD l’avv. Pietro Nicotera presenta Il penalista (Santelli): 40 anni di casi, media e giustizia.
Nel corso dell’ultima puntata del podcast Non è più Domenica, l’avvocato Pietro Nicotera ha presentato il suo nuovo libro, Il penalista (Santelli Editore), un saggio narrativo che ripercorre quarant’anni di pratica forense tra casi celebri, cambiamenti normativi e trasformazioni del costume giudiziario. Un’opera che non è un manuale tecnico, ma un racconto in presa diretta su come la società italiana sia cambiata – e con essa il modo di indagare, processare, difendere e raccontare i processi. «L’obiettivo – ha spiegato – è mostrare i mutamenti della società attraverso i casi giudiziari: com’erano affrontati 40, 20, 10 anni fa e cosa accade oggi».
Il volume alterna memoria professionale e riflessione civile. Nicotera torna su casi che hanno segnato l’opinione pubblica e la prassi: dalle vicende legate a Emanuela Orlandi e Angelo Stazzi, alla stagione del terrorismo (con figure come Paolo Signorelli), fino a processi che hanno alzato il volume del dibattito mediatico e giuridico, come gli abusi alla scuola dell’infanzia di Rignano Flaminio e lo scambio di embrioni all’ospedale Pertini. Al centro, il mestiere dell’avvocato penalista: «Non racconto solo di me o dei singoli processi – ha chiarito – ma metto a confronto epoche diverse, mostrando come cambiano investigazione, difesa, ruolo dei periti e strumenti processuali».
Nel podcast, Nicotera ha insistito su un punto: il peso della spettacolarizzazione. «Una volta i processi si facevano in tribunale. Oggi si fanno anche in televisione. Il problema non è discutere i casi: è come li si discute, con l’obiettivo dell’audience più che della verità». L’avvocato cita i lunghi talk, i commenti a caldo, persino la sovraesposizione di singoli legali: «Un avvocato non può stazionare dalla mattina alla sera negli studi TV ripetendo sempre le stesse cose. Quando un processo è in corso, tutti dovrebbero tacere». Da qui, una riflessione forte: l’istituto della “legittima suspicione” – il trasferimento del processo per eccesso di clamore – avrebbe «poco senso» nell’epoca dell’esposizione mediatica continua, perché «anche un giudice, la sera, accende la TV ed è bombardato da notizie».
Un altro passaggio decisivo della puntata riguarda i femminicidi. Dati ISTAT alla mano (richiamati in trasmissione), i numeri oscillano nel lungo periodo, ma il tema è diventato quotidiano nel dibattito pubblico. Nicotera non ha dubbi: «Parlarne serve per sensibilizzare, ma non bastano pene più dure: la deterrenza penale è limitata, lo vediamo anche dove esistono sanzioni estreme. È un problema di educazione: bisogna lavorare nelle scuole, formare culturalmente al rispetto e alla prevenzione».
Sul fronte dei casi che segnano una carriera, l’avvocato torna con dolore professionale su Rignano Flaminio: «Gli imputati furono assolti non perché i bambini avessero inventato tutto, ma perché non si raggiunse la prova certa sui responsabili». E ricorda riscontri tecnici emersi all’epoca, oltre alla consulenza di Roberta Bruzzone (di cui riporta la deposizione nel libro). È uno dei processi che più lo hanno «tormentato», per la delicatezza delle vittime e per la complessità probatoria tipica dei reati su minori.
C’è poi la domanda che tutti, prima o poi, fanno a un penalista: come si difende chi ha confessato o chi viene percepito come “indifendibile”? «Tutti hanno diritto alla difesa – risponde Nicotera –. In certi processi la responsabilità è accertata; allora il compito del difensore è far comprendere la persona e la sua storia, mitigare la pena quando è giusto, far rispettare la legge e le garanzie». Racconta il caso di un omicidio con 19 coltellate: l’imputato chiese l’ergastolo, la Corte diede 22 anni, riconoscendo elementi umani e attenuanti generiche. «Oggi scatenerebbe clamore – osserva –. Ecco come l’opinione pubblica può condizionare o comunque spingere il giudizio sociale sulle sentenze, a prescindere dal diritto».
Sul rapporto tra TV e giustizia, la posizione resta netta: «La televisione può essere utile quando riaccende i riflettori e fa riaprire indagini – è capitato –; ma la regola deve essere il processo in aula, con i suoi tempi e i suoi codici». Perfino fra colleghi, aggiunge, servirebbe più sobrietà: «A volte, tacere è meglio che dire parole fuori posto».
Chiusura con una finestra sul futuro: dopo due libri in un anno, Nicotera ammette di star valutando un terzo volume. Forse un cambio di registro: «Dai casi reali potrebbero nascere storie romanzate. Se mi riesce, ci proverò». Non stupisce: Il penalista dimostra che quando l’esperienza vive sulla pagina con onestà e misura, il confine tra cronaca e letteratura può diventare uno spazio fertile per capire il nostro tempo.
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