Il thriller All Her Fault nasce davvero da una storia vera? Ecco cosa è accaduto all’autrice Andrea Mara e come quell’episodio è diventato una serie di successo.
I numeri, per una serie che in Italia non è ancora uscita, fanno quasi impressione: nella settimana tra il 7 e il 13 novembre, All Her Fault è stato visto da oltre 2 miliardi di persone su Peacock, un dato che dà subito la misura di quanto il thriller stia facendo parlare di sé. Da noi arriverà il 23 novembre in esclusiva su Sky, girato in Australia ma trasmesso in lingua originale, e la domanda che rimbalza un po’ ovunque è sempre la stessa: si tratta davvero di una storia vera?
È il tipo di curiosità che nasce quando un racconto tocca una paura primordiale, quella che riguarda i figli, il loro mondo, la nostra capacità di proteggerli. E nel caso di All Her Fault la risposta non è né un sì netto né un no categorico: è qualcosa di più sfumato, come spesso accade quando la realtà entra dalla porta laterale nelle storie di finzione.
La serie, infatti, non racconta un fatto realmente accaduto, ma prende vita da un episodio che l’autrice del romanzo, l’irlandese Andrea Mara, ha vissuto sulla sua pelle. Un “disguido”, lo definisce lei. Un disguido che però, per qualche secondo, le ha fatto vivere lo scenario più temuto da un genitore: credere che la propria figlia fosse scomparsa.
Tutto accade nell’aprile 2015. Mara va a prendere la bambina a un playdate, come ogni giorno, seguendo la solita lista di indirizzi. Suona al campanello. Nessuna risposta. Le luci spente. La porta chiusa. E soprattutto, quel silenzio innaturale che ti spinge immediatamente a pensare al peggio. In un’intervista a People, l’autrice ha raccontato che l’ansia le è durata solo pochi secondi: un vicino le ha spiegato che la famiglia si era trasferita da qualche settimana e che lei stava usando un vecchio elenco.
Fine della storia, almeno per quanto riguarda la vita reale. Ma solo l’inizio per il romanzo.
Perché, come ha spiegato la scrittrice, sono bastati quei pochi secondi di panico per farle capire quanto affidiamo la vita dei nostri figli ad altre persone: scuole, amici, babysitter, vicini. Una catena di fiducia che diamo per scontata, finché un dettaglio minimo non la incrina. E in quell’attimo minuscolo – che però sembra infinito – cambiano le proporzioni delle cose: la tranquillità diventa incertezza, la routine diventa minaccia.
Da qui nasce All Her Fault, che nella sua versione romanzata prende quella paura e la amplifica, la distorce, la trasforma in un thriller serrato, ben più oscuro della realtà. La protagonista del libro – e ora della serie – non ha la fortuna di risolvere tutto in pochi minuti. Anzi, da quel momento inizia a sprofondare in una spirale di dubbi, colpe e segreti che nulla hanno a che vedere con l’episodio reale, ma che pescano nella stessa radice emotiva: che cosa significa davvero essere genitori oggi? E soprattutto: come si stabilisce il confine tra ciò che è sicuro e ciò che non lo è più?
Mara, che ha seguito anche la produzione come associate producer, lo dice chiaramente: “Perché i genitori di oggi sembrano preoccuparsi più di qualsiasi generazione precedente?” (ed in effetti da genitore solo a leggere la trama – per altro senza grossi spoiler – m’è venuta una discreta ansietta).
È una domanda che il libro e la serie non risolvono, ma fanno risuonare con forza. Ed è forse questa la ragione per cui All Her Fault è diventato un fenomeno globale: parla di un timore condiviso, universale, amplificato da una storia che – pur non essendo vera – nasce da un’esperienza reale, piccola e potentissima.
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