Cultura

Il Codice Voynich esiste davvero: il mistero che nessuno ha mai decifrato ispira il thriller “Il Codice Proibito” di Marco Letizi

Il Codice Voynich è reale e ancora indecifrabile. Marco Letizi lo reimmagina nel thriller “Il Codice Proibito”, tra fede, potere e conoscenza proibita.

Il Codice Voynich è uno di quei misteri che, più li guardi, più sembrano sfuggire. Un manoscritto del XV secolo, scritto in una lingua che nessuno — linguisti, matematici, crittografi, persino l’FBI — è riuscito a decifrare. Nessuno sa chi l’abbia scritto, nessuno sa per quale scopo. Le illustrazioni oscillano tra il botanico e l’alchemico, tra il mistico e il bizzarro.
Ed è proprio questo: il Codice Voynich esiste davvero, è conservato alla Yale University, e continua a essere considerato “il libro più misterioso al mondo”.

Non stupisce, quindi, che un oggetto del genere finisca per ispirare romanzi, film, documentari, leggende metropolitane. È inevitabile. Un linguaggio impossibile, immagini criptiche, una verità che nessuno può verificare: è la materia prima perfetta per qualunque storia che voglia interrogarsi su cosa significhi “sapere”.

È ciò che fa anche Marco Letizi nel suo nuovo thriller storico, Il Codice Proibito (Santelli Editore), che non si limita a evocare l’aura misteriosa del Voynich: la usa come detonatore narrativo.
Il romanzo parte proprio da un manoscritto capace di mettere in crisi la Chiesa, scuotere equilibri secolari e rimettere in discussione il rapporto tra fede, scienza e potere. Una domanda campeggia come filo rosso: se la verità fosse scritta in un linguaggio illegibile, chi avrebbe il potere di interpretarla?

Letizi costruisce un intreccio che salta tra epoche diverse, seguendo studiosi, religiosi, donne che sfidano il loro tempo e personaggi pronti a tutto pur di accedere a una conoscenza proibita. Sullo sfondo, una tensione continua: il destino è qualcosa che leggiamo o qualcosa che scriviamo?
La prefazione di Valerio Rossi Albertini — fisico nucleare ed eccellente divulgatore — sottolinea proprio questo punto, la soglia sottile tra ciò che possiamo spiegare e ciò che resta fuori dal linguaggio umano.

Il romanzo ha una particolarità che lo rende interessante anche per chi non è appassionato di thriller puri: l’autore, con un passato da Colonnello della Guardia di Finanza e oggi consulente ONU e UE, conosce molto bene la materia del “segreto”, della gestione delle informazioni, della verità che non può essere divulgata.
Questo sguardo rende Il Codice Proibito un’opera a metà tra la fantasia storica e una riflessione molto attuale sul modo in cui il potere decide cosa può essere letto e cosa no.

E, in un certo senso, ritorniamo proprio al Voynich: un libro che non si lascia leggere, un testo che esiste ma non parla.
Il fascino è tutto lì: sapere che c’è qualcosa, ma non capire cosa.

Letizi lo usa come trampolino, non come decorazione, e questa è la scelta che dà al romanzo il suo ritmo e la sua identità. Perché parlare di manoscritti medievali indecifrabili oggi non è un esercizio di nostalgia: è un modo per riflettere su quanto ancora, nonostante tutta la tecnologia del mondo, la conoscenza resti fragile, ambigua, manipolabile.

A volte basta una pagina scritta in un linguaggio sconosciuto per mandare in confusione un intero sistema.

E in questo, il Codice Voynich — quello vero — continua a vincere da secoli.

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