Correvano gli anni ’90 – gli anni gloriosi che citiamo sovente, che ripercorriamo con nostalgia e che saranno per sempre il nostro orizzonte temporale del ricordo – o forse i primi del nuovo millennio. Al mio gruppo d’amici s’aggiunse un cugino di ennesimo grado – splendido ragazzo – che vestiva spesso di rosso. Non esattamente filiforme, fu da noi soprannominato – con un barlume di bullismo da parte nostra – il Gabibbo.
Il Gabibbo era d’altra parte un’icona, in quegli anni. Era il personaggio rosso più famoso del Paese, anche più di Bertinotti e Babbo Natale (ben alle spalle Garibaldi, cui questo cugino era da altri associato – noi non avevamo una grande simpatia per il simbolo dell’unificazione d’Italia, pur non essendo neo-borbonici).
Anni dopo, appresi che quel violento del Gabibbo era in realtà un personaggio quantomeno controverso, per alcuni addirittura il mandante delle stragi di stato. “Un agente segreto internazionale, non interessato alle varie fazioni ma solo alla violenza e alla sua spettacolarizzazione”. Fucking gabibbo.
Ma controverse, del Gabibbo, sono anche le origini.
Ed è proprio da qui che vale la pena ripartire, lasciando per un attimo da parte la mitologia pop, il mio passatato e le letture postironicamente complottiste. Perché dietro quel pupazzo rosso, onnipresente nella televisione italiana degli anni Novanta, si nasconde una storia fatta di date, diritti d’autore e aule di tribunale.
Il Gabibbo debutta ufficialmente nel 1990 a Striscia la Notizia e da lì in avanti diventa rapidamente un’icona nazionale. La sua diffusione è totale: televisione, sketch, gag ricorrenti, oggetti, zaini, pupazzi. È uno di quei personaggi che finiscono per esistere anche fuori dal contesto che li ha creati, entrando nel linguaggio comune e nell’immaginario collettivo.
Solo che, a migliaia di chilometri di distanza, qualcuno quel personaggio lo aveva visto nascere molto prima. E non in uno studio televisivo, ma in un campus universitario americano.
Big Red, Gabibbo prima del Gabibbo
Big Red è la mascotte della Western Kentucky University. Nasce nel 1979 per iniziativa di Ralph Carey, allora studente dell’ateneo. Carey non si limita a concepire l’idea: realizza il costume, lo cuce e lo indossa personalmente durante le partite casalinghe della squadra di basket degli Hilltoppers. Un progetto artigianale, nato per gioco, che nel tempo diventa un simbolo stabile dell’università.

Rosso, voluminoso, con una fisicità ingombrante e immediatamente riconoscibile, Big Red precede di oltre un decennio l’arrivo del Gabibbo in Italia. E quando, anni dopo, i due personaggi vengono messi a confronto, la somiglianza salta agli occhi di molti. Non per forza come accusa, ma come domanda: possibile che due figure così simili siano nate in modo del tutto indipendente?
A differenza di altri casi legati a figure archetipiche o di dominio pubblico, qui entra in gioco un elemento decisivo: il copyright. E infatti, prima o poi, qualcuno decide di chiedere una risposta formale.
Nel 2003 prende avvio una causa legale che coinvolge direttamente il Gabibbo. A muoversi è la società italiana Adfra, che nel frattempo aveva acquisito i diritti per lo sfruttamento in Europa delle immagini di Big Red e di numerose altre mascotte universitarie statunitensi. Il fondatore dell’azienda, Gianfranco Strocchi, è noto anche per aver brevettato il Bullock, l’antifurto diventato bersaglio di servizi critici proprio da parte di Striscia la Notizia negli stessi anni (l’ottimo Ricci sa come usare la televisione come un’arma).
Da quel momento si apre una vicenda giudiziaria lunga e complessa, che coinvolge Striscia la Notizia, la Western Kentucky University e lo stesso Ralph Carey. Non si tratta di una causa lampo: il contenzioso attraversa più gradi di giudizio, dura quindici anni e vede pronunciarsi complessivamente sei giudici, dal 2003 fino al 2017.
L’ultima parola arriva dalla Cassazione, che analizza nel dettaglio le caratteristiche fisiche dei due personaggi, confrontandone lineamenti, proporzioni e struttura. Un’analisi minuziosa, quasi anatomica, che segna la conclusione della vicenda: il Gabibbo non rappresenta un caso di plagio.
A margine resta anche la risposta più grottesca e perfettamente coerente con il personaggio (e con quei mattacchioni di Striscia): il Gabibbo stesso si è infatti definito “l’evoluzione del Gerrothorax”, un anfibio estinto vissuto oltre 200 milioni di anni fa (e che potete vedere di seguito).

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