Mister Bean, la verità sul numero di puntate: come possono essere solamente 15?

Sembra quasi al livello di Beautiful che, come Jake La Furia, non finisce mai ed ha una quantità di puntate che va aumentando costantemente.
E invece no: in realtà è solamente un inganno della nostra mente. Una sorta di Mandela Effect applicato a un prodotto culturale famosissimo.

Perché di Mister Bean, in realtà, esistono solo 15 puntate.

Scritta così sembra una provocazione, o una di quelle curiosità buttate lì per fare click. E invece è tutto vero. Il punto è che Mister Bean è andato in onda così tante volte, per così tanto tempo, da averci convinti che fosse infinito. Ma in realtà erano soltanto infinite repliche.

Mister Bean, quante puntate esistono davvero

Gli episodi ufficiali della serie live action sono 14, prodotti tra il 1990 e il 1995. A questi se ne aggiunge uno particolare, Hair by Mr. Bean of London, inizialmente pubblicato solo in VHS nel 1995 e trasmesso in televisione soltanto nel 2006. È così che si arriva al numero finale: quindici.

Fine.
Nessuna stagione nascosta, nessun ciclo perduto.

Tutto il resto — film, sketch, apparizioni speciali, spot pubblicitari, serie animata, libri, videogiochi — ha contribuito ad allungare la percezione del personaggio, non la sua reale durata televisiva. E soprattutto hanno inciso anni e anni di repliche, trasmesse ovunque, senza sosta.

Un personaggio senza biografia (e proprio per questo universale)

Ma chi è Mr. Bean? Mr. Bean vive al Flat 2, 12 Arbour Road, a Highbury, Londra. Il suo nome di battesimo non viene mai rivelato, così come la sua professione. Si presenta semplicemente come “Bean” (e sul passaporto al posto del nome compare proprio Mr.).
Nel primo film cinematografico lo vediamo lavorare come guardiano alla National Gallery, ma il dettaglio resta secondario.

Bean è un adulto che si comporta come un bambino, totalmente inconsapevole dell’effetto che produce sugli altri. Non spiega né giustifica le proprie azioni, non cresce mai. Ed è forse proprio questa sospensione a renderlo comprensibile ovunque, senza bisogno di traduzioni culturali e non.

Prima della TV: Mr. Bean nasce per caso

Il personaggio nasce molto prima del debutto televisivo. Rowan Atkinson lo sviluppa mentre studia ingegneria a Oxford e si ritrova a dover improvvisare uno sketch in pochissimo tempo. Senza idee, senza testo, davanti allo specchio. Solo facce.

Da lì nasce tutto.

Atkinson racconterà più volte di essersi affidato completamente al suo volto, senza nemmeno controllarlo. Un’intuizione che diventerà la vera firma del personaggio: una comicità fisica, quasi muta, che non ha bisogno di parole per funzionare. (Ed è per questo che non ha bisogno di traduzioni e non rischia l’effetto lost in translation).

Un successo mondiale, proprio perché non parla

Mister Bean è stato trasmesso in quasi 200 Paesi. Funziona ovunque perché la sua comicità non è verbale, ma visiva. Non si perde nella traduzione, non ha bisogno di contesto.

Atkinson ha spesso definito Bean “un bambino intrappolato nel corpo di un adulto”. Ed è una definizione che spiega bene perché il personaggio abbia avuto un seguito enorme anche in Paesi dove la comicità occidentale classica fatica ad arrivare o rischia di essere vista in maniera negativa (per certo Mr. Bean non corrompe i costumi).

Influenze, collaborazioni e scelte fortunate

Dietro Mr. Bean c’è anche Richard Curtis, con cui Atkinson aveva già lavorato in Not the Nine O’Clock News e Blackadder. Curtis firmerà poi Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Love Actually.

Tra le influenze dichiarate spicca Jacques Tati, maestro di una comicità fatta di silenzi, tempi morti e piccoli disastri quotidiani. Un’eredità evidente, soprattutto nella costruzione delle gag di Bean.

Ulteriore gustosa curiosità: erano diversi i nomi in ballo per questo personaggio nato quasi per caso. Avrebbe potuto chiamarsi Mr. White o ancora Mr. Cauliflower (erano queste due opzioni pensate). Poi, quasi all’ultimo momento, la scelta definitiva.

Ma Atkinson non ama Mr. Bean

Ed è qui che arriva il paradosso. Nonostante il successo planetario, tale da portarlo persino alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra 2012, Atkinson non ha mai nascosto un rapporto complicato con il personaggio.

In più occasioni ha definito Mr. Bean stressante ed estenuante. Un ruolo che scarica tutto il peso sulle sue spalle: corpo, mimica, ritmo, responsabilità totale. Diversamente da Blackadder, dove il carico creativo era condiviso, qui tutto dipendeva esclusivamente da lui.

Con il tempo, Atkinson ha iniziato a sentire che quella comicità fisica e infantile, portata avanti da un uomo che invecchia, rischiava di diventare malinconica (oltre al fatto che il rischio di rimanere associati per sempre ad un solo ruolo non fa mai piacere a nessun artista). Da qui la scelta di ridurre drasticamente le apparizioni e, di fatto, di chiudere il cerchio.

Non a caso oggi Mr. Bean sopravvive solamente (o quasi) in versione animata: dare la voce è più semplice che rimettere in gioco il corpo.


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