Death Stranding, un nuovo capolavoro di Hideo Kojima?
1 Novembre 2019Dopo anni di domande su cosa sia effettivamente Death Stranding, possiamo finalmente dire che si tratta di un gioco composto interamente da missioni di recupero e consegna. Più di quaranta ore di gioco di solo questo può suonare tanto come una tortura, ma, in realtà, alle spalle di questo videogioco vi è un progetto più grande.
La storia di Death Stranding è molto particolare.
In breve, la maggior parte dell’America è sparita perché dei sorta di fantasmi si sono presentati e hanno decimato la popolazione. Quando quelle persone sono morte, i loro corpi sono esplosi. E anche le persone colte in quelle esplosioni sono esplose. L’evento iniziale è stato chiamato Death Stranding, e ha spazzato via una gran parte della popolazione americana. Tutto quello che rimane sono piccole città-stato murate, completamente isolate l’una dall’altra.
A questo punto c’è un bisogno immediato di “trasportatori” – persone assegnate a consegnare i rifornimenti alle diverse città, rischiando la vita nelle pericolose terre desolate dell’America – in questo nuovo, paese frastagliato. È qui che entra in gioco Sam Bridges (Norman Reedus). Ha conquistato una reputazione di trasportatore di alto livello, e viene arruolato dal presidente – che tra l’altro è sua madre – per riunire le varie città sotto un unico grande network. “Se non ci riuniamo di nuovo tutti insieme, l’umanità non sopravviverà“, dice il presidente.
Non è solo la storia ad essere complessa ma persino la semplice camminata in Death Stranding è incredibilmente difficile da padroneggiare: ogni piccola roccia è in grado di far inciampare Sam, mandando per aria ciò che sta trasportando. Ci si troverà quindi a scansionare costantemente l’ambiente, esaminando il paesaggio per trovare la via più scorrevole possibile attraverso sentieri rocciosi e frastagliati. Non esiste nessun aiuto e ogni passo che si fa deve essere intenzionale, o si finisce ben presto in fondo ad un burrone. Quando il vostro zaino starà per cadere dovrete usare i grilletti destro e sinistro per bilanciare il peso, altrimenti si rischia di finire per terra, danneggiando la merce. Death Stranding è un simulatore di camminata nel vero senso della parola.
Kojima e il suo team dedicano le prime 10 ore di Death Stranding a mostrare attraverso cutscene il mondo di gioco e gli aspetti drammatici che porta con sé una situazione al limite come questa. Le scene sono molto lunghe e splendidamente dirette, il marchio di fabbrica di Kojima, capaci di farvi immergere immediatamente nel mondo post-apocalittico creatosi all’indomani del Death Stranding. Il protagonista di queste scene è il celebre bambino chiuso nel vaso. Gli esseri umani non riescono a vedere i fantasmi ad occhio nudo, ma i BBs (questo il loro nome) sì e quindi saranno utilissimi per individuare questi particolari nemici con cui di tanto in tanto, nel corso dell’avventura, dovremo fare fronte.
Solitamente nei giochi open-world si inizia il gioco con praticamente nessuna abilità particolare per poi finire con l’essere un dio in terra. In Death Stranding, invece, Sam inizierà con poche e limitate abilità e alla fine del gioco sarà praticamente lo stesso personaggio; qualche capacità di carico aumentata, un paio di gadget supplementari e niente più.
Non sarà il personaggio ad evolversi ma lo scenario attorno a lui lo farà continuamente. Posizionare una scala per superare un corso d’acqua farà in modo che quella scala venga ritrovata dagli altri giocatori che passeranno di lì. E ovviamente vale anche all’inverso. Non sarà raro quindi trovare accampamenti, scale e funi che ci aiuteranno a trovare un sentiero meno irto nel corso delle lunghe e sempre affascinanti camminate che permeano il gioco di un aspetto fiabesco e crudo allo stesso tempo, dove misteri, esoterismo e critica sociale si mescolano in un unico grande quadro esplorabile.
La storia, poi, è ricchissima di colpi di scena, merito di una sceneggiatura d’alta classe della quale Kojima è senza alcun dubbio un maestro; l’unico vero problema di questo capolavoro è una ripetitività, a tratti davvero angosciante, del comparto videoludico nel suo insieme. Si dovrebbe comprendere però, a mio parere, il vero messaggio che sta alle spalle di questa esperienza, un messaggio che Kojima ha voluto trasmettere con la creazione di questo mondo; la solitudine di un uomo viene pian piano erosa dalla creazione di legami sempre più stretti e a tratti inscindibili, e la necessità di condividere un viaggio con gli altri avventurieri diventa palese anche nel cuore di chi ha il pad in mano.