Jenna Ortega racconta il peso della celebrità dopo ‘Mercoledì’ e riflette sui limiti imposti dai personaggi che ha interpretato.
Nonostante abbia mosso i primi passi nel mondo del cinema all’età di dodici anni (dopo essersi avvicinata alla recitazione già a soli sei anni) e sia apparsa in titoli di grande impatto – a partire da due episodi della saga di Scream – è stata Mercoledì, la serie targata Netflix incentrata sulla figlia dal temperamento oscuro della Famiglia Addams, a sancire definitivamente la consacrazione di Jenna Ortega nel panorama internazionale.
In una recente intervista rilasciata a Harper’s Bazaar, l’attrice nata nella Coachella Valley in California, ha offerto uno sguardo sincero sul lato meno visibile della notorietà (un lato oscuro che pare colpire molti personaggi pubblici): “Dopo l’uscita della serie e aver tentato di metabolizzare tutto, mi sono sentita infelice”. Per lei, persona di indole riservata, il brusco aumento di visibilità si è rivelato “molto intenso, spaventoso”.
La fama, assolutamente meritata anche considerando i grandi risultati della serie in termini di numeri – con svariati record all’attivo, ha portato con sé un peso inatteso, amplificato dal fatto che la sua immagine pubblica era diventata tutta d’un tratto una prigione.
Inoltre, sebbene Jenna si senta più affine all’estetica gotica del suo personaggio più noto rispetto alla solarità richiesta nei suoi esordi con la serie Disney Channel Harley in mezzo (la prima con cui ha avuto successo e in cui è stata protagonista), riconosce che restare ancorata al ruolo di una liceale potrebbe rivelarsi un ostacolo peri il prosieguo della carriera. Nonostante ciò, meglio essere Mercoledì che essere stata Harley Diaz: “Mi sono sempre piaciute le cose cupe, ma ero una bambina Disney, e tutto si riduceva all’essere allegra, gentile ed eccessivamente dolce”.
L’attrice ha quindi riflettuto anche sulle implicazioni fisiche e simboliche legate al cambio di ruolo: “Quando indossi l’uniforme da studentessa, c’è qualcosa di profondamente condiscendente in tutto ciò. E poi, quando sei bassa, le persone ti sminuiscono già fisicamente… se una ragazza non mantiene l’immagine perfetta con cui è stata presentata, allora diventa: ‘Ah, c’è qualcosa che non va. È cambiata. Ha venduto l’anima’”.
Queste parole, aprono una finestra sul conflitto interno che spesso vivono le giovani attrici sotto i riflettori, costrette a conciliare le aspettative del pubblico con le proprie esigenze identitarie ed evolutive ed anche come cambia la visione di se stesse in base al cambio di ruolo.
D’altro canto la Ortega pare non intenda farsi ingabbiare dai cliché e per questo sta scegliendo con attenzione progetti che rispecchino la sua maturazione artistica, a partire dalla commedia fantasy Death of a Unicorn, prodotta dalla casa indipendente A24 e uscita lo scorso marzo (in questo caso, perl, i numeri non sono stati esaltanti: 16 milioni al botteghino a fronte di 15 milioni di budget, praticamente un flop).
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